ELEGANTIE

V 6, 13-24: (13) Ut autem a sedeo distat sido, ita a sto sisto, ut ‘siste gradum’, ‘siste fugam’, ‘siste lacrimas’, idest ‘fac stare gradum’, ‘stare fugam’, ‘stare lacrimas’. (14) Atque ut illa superiora idem preteritum habent, vel alterum ab altero mutuum sumit, ita hec duo idem supinum vel sisto a sto, vel sto a sisto accipit, quod est statum. (15) Unde fit stator quod magis a sisto quam a sto descendit, ob idque Iuppiter Stator vocatus est, qui Romulum orantem ut fugam suorum sisteret audivit. (16) Quare nescio cur Hieronymus adversus Iovinianum dixerit: «Offendet Iovem Statorem, qui libenter sederit» [Hier. Adv. Iovin. I 48], quasi Iuppiter Stator a stando dicatur, non a sistendo. […] (21) Sistere etiam dicimus pro representare et presentiam corporis exhibere, dictum ab eo quod non tantum comparere quis debet, nisi et manserit; unde de iudicio sisti, hoc est de sistendo aliquem iudicio. (22) Cicero ad Atticum: «des operam, id quod mihi affirmasti, ut te ante kalendas ianuarias, ubicumque erimus, sistas» [Cic. Att. III 25]. (23) Et hinc stator nuntius tabellarius ve consulis. Idem De officiis tertio: «vas factus est alter eius sistendi, ut, si ille non revertisset, moriendum esset sibi» [Cic. Off. III 45]. (24) Virgilius: «[…] et patrio te limine sistam» [Verg. Aen. II 620].

DEFINIZIONE

  1. Fermare, arrestare, trattenere
  2. Comparire, far comparire (in giudizio, se riferito all’ambito legale)

FREQUENZA

  • De vero bono: III 25, 13 («Deinde cum iam erit tempus sistendi currum et beatissimum populum salutandi»). III 25, 19 («iam tue corone civice, murales, V.res ceteraque ornamenta victorie sistentur in medio»)
  • Antidotum in Facium: I 5, 18-39. I 13, 13-16
  • Antidotum in Pogium: I 147

CORRISPONDENZE

LATINO CLASSICO E TARDO-ANTICO

Sia Lewis-Short (s.v. sisto) sia Gaffiot (s.v. sisto) confermano che in età classica sisto voglia dire “fermare”, “arrestare”, “trattenere” e “far comparire” (Cic. Off. III 45), “comparire” (significati fatti emergere anche da V.), ma la principale accezione del verbo risulta essere “porre”, “collocare”, “disporre” (Verg. Aen. II 620) e, talvolta, “condurre” (Verg. Aen. IV 634). In età tardo-antica è probabile che la confusione sistosto si generi a partire dal fatto che entrambi i verbi presentano il medesimo supino statum (cfr. Eleg. V 6, 14). Macrobio in Sat. II 15, 9 usa sistere e stare come sinonimi nel senso di “stare fermo”. Servio predilige soprattutto la principale accezione associata al verbo in età classica, “collocare” (Verg. Aen. II 245), ovvero quei significati più propriamente metaforici relativi al termine. Prisciano nelle sue Inst. gramm. espone delle teorie confusionarie: in Inst. gramm. VIII 59, sisto, essendo mancante del perfetto, prende in prestito quest’ultimo da quei verbi identificati come sinonimici ovvero statuo (“disporre”, “stabilire”) e sto; in Inst. gramm. X 48 lo studioso evidenzia che, se sisto è inserito all’interno di una costruzione transitivo-attiva, allora esso non possiede perfetto; al contrario, se sistere è intransitivo e condivide un significato simile a quello di stare, cioè nel senso di “rimanere (fermo)”, allora entrambi i termini presentano il perfetto steti o, nel caso di verbi composti, la variante stiti. Anche Blaise chr. (s.v. sisto) conferma per quanto riguarda la letteratura cristiana antica i medesimi significati invalsi fin dalla classicità per sisto.

LATINO MEDIEVALE

Gli eruditi che precedono Valla tendono a soffermarsi su particolarità grammaticali relative il participio passato e il perfetto di sistere. Papias in Elem., s.v. sistere riprende la medesima definizione di Isid. Diff. I 516 («Sistere interdum resistere vel prohibere, id est qui aliquam rem in loco stare facit, repugnat»), ma poco dopo (Elem., s.v. sisto) ricollega sisto a statuo («Sisto <->tis steti a statuo statui»). Alexander de Villa Dei, Doctr. 902-903: «dat ‘sisto statui’, si transeat, atque ‘statutum’ / et si sit neutrale, ‘steti’ nullumque supinum». Da questo momento in poi prevarrà la seguente considerazione: se sisto è intransitivo, prende in prestito da stare il perfetto (steti), il supino (statum) e il significato (“rimanere fermo”); se sisto è transitivo, allora esso mutua da statuĕre il perfetto (statui), il supino (statutum) e il valore (“erigere”, ma anche “consolidare”, “trattenere”, “stabilizzare”/“tenere fermo”). Uguccione da Pisa, Der. S 176, 1-2 (s.v. sisto): «(1) SISTO -is, caret preterito et supino, sed accipit mutuo a diversis secundum diversas eius signifìcationes. Nam sisto absolutum est et transitivum; quando est absolutum significat idem quod sto vel maneo: sisto, quasi cum prius irem modo sto, et secundum hoc accipit preteritum et supinum a sto, et sisto facit steti statum; (2) sisto quando est transitivum significat idem quod statuo, ut ‘iste sistit menia’, idest statuit; accipitur etiam pro firmare vel retinere vel stabilire, ut ‘siste equum’, unde Ovidius De fastis siste puer lacrimas, Protheus tua damna levabit [Ov. Fast. I 367]. Sistere etiam est presentare, unde illud ut sisterent eum domino [Luc. II 22], et secundum quod est transitivum accipit preteritum et supinum a statuo: sisto statui statutum». Giovanni Balbi in Cath., s.v. sisto si limita a riproporre Hug. Der. S 176, 1-2 (s.v. sisto). Eberardo di Bethune attribuisce a sisto l’accezione di “resistere” (Grec. XXVI 113: «‘Sisto’ vel ‘consto sto persisto’ quasi substant») e in Grec. XVII 52-53 fa proprio il pensiero di Alexander de Villa Dei (Doctr. 902-903).

LATINO UMANISTICO

Le Ver, s.v. sisto, si rifà alla fortunata lezione di Hug. Der. S 176, 1-2. Bartolomeo Facio in Invective I 63, 3-6 non fa altro che ripetere i concetti già confusamente espressi da Prisciano in Inst. gramm. VIII 59, passo in cui sisto vanta due possibili perfetti (statui derivante da statuo e steti derivante da sto), e in Inst. gramm. X 48, laddove il grammatico ribadisce che, nonostante sistere non sia dotato di un supino, se il verbo è inserito in una costruzione attiva, allora non possiede perfetto; se esso è usato assolutamente, allora condivide lo stesso perfetto di stare. Nei Gesta Alfonsi Facio ricorre a sisto solamente in due occasioni: la prima volta in II 119 con il significato di “resistere”, “durare” («Cumque intueretur Alfonsus […]non posse in rupe pontem sistere»); la seconda volta in VII 35 con il significato di “collocare (saldamente)” («Erat vero is locus adeo proclivis ut in eo vestigium haud satis firmari sistique posset»). Niccolò Perotti nel lib. I epig. 2, 69 del Cornu Copiae riversa l’intero contenuto di Eleg. V 6, 13-24. Nebrija (s.v. sisto) in base al perfetto presente nel paradigma traduce diversamente sisto: se il perfetto di sisto risulta steti (da sto), allora il verbo assume lo stesso valore di stare e, di conseguenza, l’accezione di “stare fermo” («estar quedo»); se il perfetto di sistere è statui (da statuo), esso va reso come “fermare”, “arrestare” («estancar a otri»). Calepino (s.v. sisto) mostra di non condividere la prospettiva di Valla (autore che, nella scheda dedicata all’analisi del verbo sisto, viene esplicitamente citato), motivo per cui, recuperando la testimonianza di Prisciano (per cui vd. supra), egli afferma che l’appellativo Stator derivi da stare (e non da sistere).

NOTA CRITICA

V. identifica correttamente due elegantiae da associare a sistere. La prima è presente in Eleg. V 6, 13-16: “fermare”, “arrestare”, “trattenere”; la seconda si situa in Eleg. V 6, 21-23: “far comparire”, “comparire” (sisto acquisisce suddetto valore se impiegato in ambito giuridico e in relazione a processi che contemplano la pena capitale). Risulta chiaro il motivo per cui V. avrebbe deciso di dedicare ben 12 paragrafi del VI capitolo del V libro della sua opera alla corretta identificazione dell’elegantia di sistere: l’umanista si prefige lo scopo di contrastare la propensione (invalsa da Prisciano e portata avanti dai suoi successori in epoca medievale) ad affiancare a sisto paradigmi e significationes proprie di altri verbi verbi, come statuĕre e in particolar modo stare. La battaglia condotta da V. non si arresta a Eleg. V 6, 13-24, ma prosegue anche in Ant. in F. I 5, 18-39, loci in cui l’autore si scaglia contro quanto asserito da Bartolomeo Facio in Invective I 63, 3-6.