ELEGANTIE

V 3, 2-3: (2) Cuius [scil. verbi desipere vel desipiscere] contrarium est resipiscere et senes quidam iam dementes nunquam resipiscunt, ceteri resipiscere, idest ad priorem mentis statum vel ad meliorem mentem, redire solent. (3) Terentius: «Multo omnium nunc me fortunatissimum / puto esse, Gnate, cum te intelligo / resipisse» [Ter. Haut. 842-844]

DEFINIZIONE

  1. Riaversi
  2. Rinsavire

FREQUENZA

  • De vero bono II 16, 4: «quasi cecos habent huiusmodi homines interdum oculos sive diu clausos aperiunt et resipiscunt» (Radetti 1953: 117: «la gente di questo stampo è quasi cieca: talvolta aprono gli occhi e rinsaviscono»; trad. Kent Hiatt – Lorch: «these man are almost blind, but sometimes they open eyes that have been long closed and come to their right minds again»)
  • Antidotum in Facium: IV 7, 30 (cit. Liv. XXIV 45, 2). IV 7, 32

CORRISPONDENZE

LATINO CLASSICO E TARDO-ANTICO

Sin dall’età di Plauto il verbo può indicare l’acquisizione di un migliore stato di salute (corporeo o mentale) che in precedenza non si possedeva, oppure il ritorno al precedente benessere (fisico o psicologico), condizione che si era temporaneamente persa. Donato, Commentum Terentii, Andr. 698, fornisce la seguente definizione di resipisco: «spiritum revocat sensus». Nella sezione Synonyma della grammatica di Carisio resipiscit viene affiancato a espressioni quali redit ad mentem, revertit ad sanitatem. Interessante che sempre Carisio intenda resipiscit anche nel senso di “risapere” (e, quindi, “ricordare”: reminiscitur, recogitat) e di “recuperare le forze” (recipit animum). La letteratura cristiana associa a resipiscere una ulteriore accezione: “pentirsi” e, quindi, “ravvedersi”, “convertirsi” (Blaise chr., s.v. resipisco). Anche in ambito giuridico si fa ricorso al verbo resipiscere con il significato di “pentirsi”, “ravvedersi” (Cod. Iust. V 70, 7, 9: «sin autem ipse resipuerit et noluerit ea admittere et aperte haec»). Forcellini, s.v. resipisco: «I. – Resipisco est idem ac resipere incipio, a deliquio animi me recipio, ad pristinum sensuum statum redeo, […] It. tornare in sè, o in cervello, ricuperare i sentimenti»; è poi sottolineato il valore in ambito cristiano: «II. Translate ad animum, et significat ad bonam mentem redire, rectius sentire incipere, ad frugem bonam reverti quasique ab insipientia, seu insania convalescere, ravvedersi».

LATINO MEDIEVALE

Si insiste sulla definizione di resipiscere come incoativo di resipere, col significato di “ritornare a sapere”, “tornare di nuovo alla ragione” (si veda DMLBS, s.v. resipiscere: «to return to fitness […] after weakness or illness», «to come to one’s senses, become sane again») e al suo valore in ambito religioso (si veda . Blaise med., s.v. resipisco: «en parl. d’un hérétique»; anche Niermeyer traduce resipiscentia con il francese «repentance»). Isid. Orig. X 236: «Resipiscens, eo quod mentem quasi post insaniam recipit aut quia resapit qui sapere desierat»; Papias, Elem. s.v. resipscit: «Resipiscit amissam recipit sapientiam»; Vincenzo di Beauvais, Speculum doctrinale I, Breve vocabularium, c. LXII, vocabula incipientia per ‘r’: «Resipere, vel resipiscere, ad se redire»; Hug. Der. S 36, 15, s.v. sapio: «resipio -is, redire ad sapere; proprie ille resipit qui penitens forifacti redit ad satisfactionem et ad sapere quod dimiserat forifaciendo; unde resipisco -is inchoativum»; Eber. Grec. X 84, XVII 13: «Ad resipiscentem conversio pertinet apte»; Johan. Balb. Cath. s.v. sapio: «resipio -pis, redire ad sapere; proprie ille resipit qui penitens forefacti redit ad satisfactionem et ad sapere quod dimiserat forifaciendo; unde resipisco -cis inchoativum»).

LATINO UMANISTICO

Non ci sono particolari novità negli strumenti delle epoche successive. Si veda Le Ver, s.v. resipisco: «Resipisco .scis – inchoativum […] .i. amissam recipit sapientiam et post insaniam ad intellectum redit<.> Resipiscens .tis dicitur quod mentem recipit et sanitatem, quasi post insaniam .i. repentans, retournans a soy»; Perotti, Cornu Copiae, lib. I epig. 32, 31: «[…]. Ab hoc fit desipisco, cuius contrarium est alterum eius compositum resipisco, quod est ad priorem mentis statum vel ad meliorem mentem redeo. Terentius: Multo me omnium fortunatissimum / puto esse, gnate, qum te intelligo / Resipiscere [Ter. Haut. 842-844]»; Nebrija, s.v. resipisco: «por aquello mesmo n v <resipio>» ovvero «tornar a su seso»; Calepino, s.v. resipisco: «Huius [scil. desipio] contrarium est resipisco. Nam resipio in usu raro est, resipisco frequenter. […]. Est enim resipiscere ad mentem redire».

NOTA CRITICA

V. identifica correttamente le due principali accezioni di resipiscere, attestate sin da Plauto: il verbo può indicare l’acquisizione di un migliore stato di salute (corporeo o mentale: «ad meliorem mentem redire») che in precedenza non si possedeva, oppure il ritorno al precedente benessere (fisico o psicologico: «ad priorem mentis statum […] redire»), condizione che si era persa, ma che successivamente è stata recuperata. In secondo luogo, sebbene i dizionari riportino solitamente resipiscere a resipere, l’umanista non lo fa perché in resipio e resipisco il morfema re– assume valori diversi e modifica le accezioni dei due verbi: in entrambe le forme il prefisso re– denota la ripetizione, il ritorno a una passata condizione concreta o astratta che sia, ma, mentre resipisco vale “riprendere i sensi”, “rinsavire”, resipio non si distingue facilmente dal semplice sapio poiché, come quest’ultimo, vuol dire “sapere di” ovvero “avere/ricordare il sapore di”, “avere l’odore di” qualcosa. Dunque egli esclude il verbo per una considerazione di tipo semantico: in questo capitolo all’umanista non interessa esplorare tutti i possibili composti di sapio perché egli desidera concentrarsi sui verbi legati per sinonimia, antinomia, differenza al concetto di ‘impazzire, essere insensato’; al contrario, resipio non rientra nella gamma di accezioni esplorate. In secondo luogo, già in epoca tardo-antica era andata del tutto perduta l’originaria e corretta elegantia del verbo (“rinsavire”), quella introdotta e messa in pratica dagli auctores idonei di età classica, accezione che continuerà a essere fraintesa nel corso del XV e del XVI secolo dal momento che il termine verrà adoperato prevalentemente in contesti relativi al pentimento e alla conseguente conversione religiosa oppure con il significato di “ricordarsi di qualcosa di cui ci si è dimenticati e che in precedenza si sapeva”.